Notte fonda a Hrabove, Est Ucraina. I miliziani filorussi, fucile in spalla e torce in mano, al fianco di uomini della protezione civile locale, cercano ancora i cadaveri dei 298 passeggeri dell’MH17 tra i campi di mais, quando Alexander Borodai, «premier» separatista della autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, cittadino russo, arriva sulla scena dell’incidente con le sue guardie del corpo armate come Rambo. Alla cintola l’inseparabile Makarov, con lo sguardo sfuggente alle telecamere ripete la propria innocenza: «Il missile non era nostro, è stato un jet ucraino». Promette accesso agli esperti al relitto, ma rifiuta l’ipotesi di una tregua, per poi ripensarci dicendo sì alla proposta di Kiev di 4 giorni di stop alle armi. Reggerà? Ancora ieri i combattimenti sono proseguiti nella vicina Lugansk con segnalazioni di altri 20 civili uccisi. La tragedia per Borodai «porterà più attenzione sul conflitto, ma», dice, «non è realistico dire che si fermerà». Le scatole nere? «Non le abbiamo trovate». Eppure il giorno prima suoi colleghi avevano dichiarato il contrario. Anche se ora fonti di Kiev ritengono che «siano in mano ufficiale ucraina». Chi le ha prese? Mistero. La Russia «non ne prenderà il controllo», mette le mani avanti il ministro degli Esteri Lavrov.

Intanto, il relitto è ostaggio dei ribelli, quasi loro proprietà: gli «scarafaggi» come li chiama Kiev controllano tutta la zona circostante, e finora non avrebbero permesso alle autorità di Kiev di avvicinarsi, eccetto i soccorsi medici. Una trentina di osservatori Osce, invece, sono stati fatti entrare. Ma con limitata possibilità di movimento, tanto che a un certo punto sono stati sparati alcuni colpi in aria, per avvertimento. Ovunque intorno ai cadaveri, passeggiano miliziani armati, loro hanno organizzato la ricerca di corpi e oggetti a bordo, loro annunciano che da oggi la zona verrà transennata per evitare, anche, i macabri «ladri di souvenir».

Al loro fianco, i testimoni principali della tragedia, sconvolti vengono sul posto e lasciano piccoli fiori su lamiere e detriti: sono gli abitanti della vicina cittadina di Torez. Molti raccontano di aver visto l’esplosione in aria e poi frammenti e «corpi che cadevano dal cielo». La fusoliera sarebbe esplosa già in aria. Nell’erba alta, tra le viole e i girasoli, c’è una guida Lonely Planet di Bali sta a pochi metri dal corpo di una giovane ragazza riverso a faccia in giù nel sangue, poco oltre un mucchio di zainetti colorati: chissà, se uno era il suo bagaglio. Una pensionata s’è vista atterrare un cadavere sul tetto della casa: l’ha sfondato, per planare in cucina. Ad accogliere i morti si preparano tende bianche, la calura infame non aiuta. Bianche anche le bandiere di fortuna infilzate nel campo a segnalare i cadaveri. Quello di una donna è ancora incastrato sotto il sedile, braccia e gambe nude spuntano da sotto. I corpi smembrati sono stati coperti per pudore da teli di plastica. Scene di orrore.

Intanto i leader mondiali, Usa in testa, chiedono una rapida inchiesta sull’abbattimento del volo e giustizia per i quasi 300 morti. Il presidente Poroshenko che accusa i separatisti di «terrorismo aereo» cerca di tirare l’Occidente dalla propria parte contro la Russia: «L’aggressione esterna contro l’Ucraina non è solo il nostro problema, ma una minaccia per la sicurezza europea e globale». Washington domanda un cessate il fuoco per consentire l’accesso al luogo dell’incidente, per Angela Merkel «ci sono molte indicazioni che l’aereo è stato abbattuto, quindi dobbiamo prendere le cose molto sul serio». Kiev fa sapere che diversi specialisti internazionali si sono già fatti avanti, tra cui alcuni americani che sarebbero già partiti per l’Ucraina, e olandesi che offrono il proprio aiuto, ma anche la società Boeing che vorrebbe svolgere una propria indagine a parte sulle cause dell’accaduto. La Ue chiede a tutte le parti coinvolte di dare massimo accesso al luogo tragedia e garantire la sicurezza degli investigatori, l’Onu chiede una «piena, completa ed indipendente inchiesta internazionale» e una punizione «adeguata» dei responsabili. Londra propone una indagine sotto l’egida Onu.

Resta il mistero dei missili terra-aria Buk, «faggio» in russo: Mosca dà sempre ai propri razzi nomi di alberi.

Sia Kiev che i ribelli ne sarebbero in possesso secondo diverse fonti, gli ultimi negano. Il 29 giugno scorso la stessa tv russa Vesti aveva annunciato che «ora il cielo sopra Donetsk è difeso da missili antiaerei Buk» che i separatisti avrebbero sottratto in una base ucraina. Ma ieri il ministro degli Esteri ucraino Klimkin al «Guardian» (dopo la pubblicazione da parte del governo delle intercettazioni telefoniche che «incastrerebbero» i filorussi come colpevoli dell’abbattimento dell’MH17), ha smentito sostenendo che Kiev «non utilizza» quei sistemi, suggerendo che possano essere stati «contrabbandati dalla Russia».

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